Quante vite vale una maglietta?

30 aprile 2013 at 1:37 PM 3 commenti

Bangladesh Building Collapse

Il 26 aprile, a Dacca, in Bangladesh, una palazzina di 8 piani si è completamente sbriciolata, seppellendo sotto le sue macerie oltre 380 persone. Le vittime di questa tragedia erano operai che lavoravano per diverse aziende tessili internazionali (tra cui probabilmente alcune italiane, leggete qui). Come spesso accade, queste multinazionali usufruiscono di aziende locali che le riforniscono di abiti e accessori a costi bassissimi, confezionati da operai e operaie sottopagati (si stimano circa 410 dollari l’anno ad operaio) e sfruttati. Chiaramente, per poter proporre prezzi così infimi, la sicurezza dei lavoratori e degli stabilimenti diventa un optional, provocando tragedie come quella accaduta a Dacca. Secondo una stima dell’International Labor Rights Forum, oltre mille operai tessili hanno perso la vita in Bangladesh dal 2005 in incidenti causati dalle scarse condizioni di sicurezza dei laboratori.

Ma vale davvero la pena mettere a rischio centinaia di vite per una maglietta?

Il Commercio Equo e Solidale pensa proprio di NO. Ed è per questo che sono nati tantissimi progetti che riguardano il settore tessile, ed in particolare l’abbigliamento, che rispettano i principi del CES. Vi proponiamo qui di seguito due importanti esempi a livello italiano.

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Trame di storie – vestire equosolidale (AltraQualità)

Trame di Storie è una linea di abbigliamento equosolidale proposta da altraQualità, che coinvolge organismi di produttori di diversi paesi del Sud del Mondo. Nata nel 2003, è arrivata alla decima edizione: dieci anni di ricerca, sviluppo e creazione di abiti interamente realizzati nel pieno rispetto dei diritti di chi produce, con metodi tradizionali a basso impatto ambientale, tessuti naturali, ricami, stampe e dettagli che riprendono le tecniche locali. “Ogni collezione è un viaggio tra Paesi e culture, colori e consistenze; un viaggio teso a cogliere elementi di tradizioni diverse, la nostra compresa, per fonderli in un intreccio vitale che generi abiti originali, che conservino “l’essenza” del luogo di provenienza pur adattandosi in pieno ai nostri gusti e alle nostre esigenze.” Come accade per tutti i progetti di commercio equo solidale nel mondo, la relazione con i produttori è fondamentale, diretta, e c’è una stretta supervisione delle condizioni lavorative. trame2Proprio in Bangladesh, ad esempio, altraQualità lavora con Aarong (qui la scheda), che coinvolge e supporta oltre 6000 artigiani e produttori delle zone rurali. Di questi, l’85% sono donne, tra le più povere ed emarginate del Bangladesh, che hanno così la possibilità di uscire della loro condizione e,  oltre a ricevere uno stipendio adeguato per il loro lavoro, possono beneficiare di programmi di sostegno per sviluppare progetti sanitari, educativi, di genere. In particolare, Aarong ha selezionato due manifatture di Dacca che producono capi di maglieria in cotone, le affianca nella ricerca di nuovi mercati e soprattutto controlla le condizioni dei dipendenti verificando che siano rispettati i loro diritti, che lavorino in sicurezza e che ricevano stipendi adeguati. Inoltre ha attivato un progetto sanitario per offrire ai dipendenti visite mediche gratuite, medicinali di base gratuiti,  educazione sanitaria, un fondo di emergenza per operazioni, esami costosi, gravidanze difficili.

Auteurs du Monde (Altromercato)

Anche il progetto tessile “Auteurs du Monde” di Altromercato (qui il sito) si basa sugli stessi principi sopra descritti.  “I veri autori della Caltromercatoollezione sono centinaia di abilissimi artigiani, molto spesso donne che abitano nei villaggi asiatici, in America Latina ed Africa. Raccontano storie di capi e accessori realizzati nel segno dell’etica e della sostenibilità. Altromercato li ha selezionati per l’abilità artigianale e perché questi partner sono a loro volta impegnati nel sociale, attenti a rispettare le tradizioni, le persone impiegate e l’ambiente.  Con le collezioni moda Auteurs du Monde si impegna a tutelare e proteggere le strade della tradizione aggiungendo innovazione e modernità. I tessuti, di alta qualità, sono realizzati esclusivamente con fibre naturali e green-oriented. Ciò che distingue Auteurs du Monde è la confezione rigorosamente artigianale, fatta nel rispetto delle persone e dell’ambiente.”

Cosa possiamo fare per vestirci in modo responsabile?

Oltre ovviamente a preferire abiti provenienti dalla filiera equo solidale, il sito www.greenme.it suggerisce 4 pratici consigli per un abbigliamento “giusto”:

1 – Il prezzo non è tutto

Gli abiti a buon mercato sono quasi sempre prodotti con manodopera a basso costo. Sono molte le catene d’abbigliamento e i marchi noti per la gestione poco etica delle loro produzioni. In genere, per fare shopping etico è necessario spendere di più. Ma questo non significa che i vestiti costosi siano tutti prodotti in modo responsabile. Uno studio del International Textile ha evidenziato come i lavoratori di 83 fabbriche in Indonesia, Sri Lanka e Filippine vengano sfruttati e sottopagati, pur lavorando per noti marchi dell’alta moda, che vendono capi molto costosi.

2 – Meglio artigianale o usato

Anche se leggiamo “Made in Italy” alcuni componenti del prodotto potrebbero venire da altri Paesi, ma quasi mai troviamo queste informazioni in etichetta. Per questo motivo è preferibile fare acquisti in piccoli negozi, meglio se artigianali, dove è possibile avere maggiori informazioni sui capi acquistati. In alternativa possiamo andare nei mercatini o nei negozi dell’usato: anche se acquisteremo abiti prodotti con sfruttamento del lavoro, almeno saranno prodotti che rientreranno in ciclo.

3 – Comprare meno

Hai davvero bisogno di quella nuova t-shirt solo perché costa 10 euro? No, non ne hai! Questo è un consiglio semplice, ma efficace: compra di meno. Basa gli acquisti sulla qualità piuttosto che la quantità. Risparmia i soldi per acquistare abiti prodotti in modo responsabile, che spesso sono più costosi, riducendo il consumismo che alimenta pratiche di lavoro poco etiche.

4 – Informarsi e fare ricerche

E’ l’unico modo che abbiamo per sapere dove e come i nostri vestiti vengano prodotti. Prezzo ed etichetta non bastano, ma ci sono molti rapporti e valutazioni redatte da organizzazioni indipendenti, impegnate contro queste pratiche, da utilizzare nello scegliere i marchi da acquistare.

Molti pensano che avere un guardaroba etico sia impossibile, o qualcosa da ricchi. Ma con un po’ di attenzione e qualche modifica alle nostre abitudini di acquisto, possiamo davvero cominciare a vestirci «meglio».

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3 commenti Add your own

  • 1. Carlo  |  2 Maggio 2013 alle 12:59 PM

    Ottimo pezzo.
    Perché non metti qualche link (per esempio a Trame di Storie e a Auteurs du Monde)?

    Rispondi
  • 2. Alessia  |  2 Maggio 2013 alle 1:03 PM

    Ci sono! Se clicchi su “altraQualità” in verde, vai al loro sito. E dove ho scritto “qui la scheda” o “qui il sito”, cliccando sul “qui” si accede diretti al sito! 😉

    Rispondi
  • 3. Carlo  |  2 Maggio 2013 alle 1:08 PM

    Ah, me ciecato!

    Rispondi

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