All’ombra della “Fortezza Europa”

MANI-DI-PESCATORE-a27627569Immaginate un pescatore di oltre 60 anni. Mani grandi e rugose, mani di chi ha sempre lavorato, mani divorate dalla salsedine. Si sveglia ogni giorno prima dell’alba, il pescatore. Quel giorno, il 3 ottobre, non pesca pesci. Trova una ragazza di vent’anni, che galleggia sul bordo del mare. Una ragazza che viene da lontano, da molto lontano, che ha lottato, sofferto, patito qualsiasi cosa per arrivare dove, per un soffio, non è riuscita ad arrivare. Il pescatore la tira sulla sua barca, non si può mica morire a vent’anni. La porta nell’ospedale di quella piccolissima isola in mezzo al Mediterraneo. Pochi giorni dopo, in seguito al ritrovamento di 366 persone, uomini, donne, bambini, catturati da un mare che non ha dato loro scampo, in un enorme hangar pieno di 366 bare attorniate dai loro parenti e amici colmi di lacrime e dolore, il pescatore e la ragazza si rivedono. Con uno sguardo si riconoscono, e si abbracciano, il pescatore di Lampedusa e la ragazza eritrea.

Questa storia ce l’ha raccontata Marco, che nei giorni successivi alla tragedia del 3 ottobre è stato a Lampedusa per poter documentare in prima persona una strage che ha coinvolto centinaia di migranti (ne abbiamo parlato anche nell’articolo del 5 ottobre 2013, qui). Marco Omizzolo è un sociologo che da anni collabora con Legambiente , è presidente del circolo Larus di Sabaudia (LT) ed ora è entrato a far parte, tra le altre cose, anche dell’ufficio che si occupa di legalità. Proprio questo suo impegno con Legambiente lo ha spinto a partire verso quell’isola, anche per sostenere il sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini, da sempre impegnata con l’associazione. (altro…)

3 novembre 2013 at 6:05 PM Lascia un commento

Se il pomodoro macchia… la coscienza. Come lo sfruttamento degli immigrati rende “indigesti” i prodotti agricoli italiani sui mercati europei

 È l’esercito dei trentamila invisibili. Tanti sono gli immigrati che vengono impiegati stagionalmente in Italia per la raccolta del pomodoro. Accade soprattutto in Puglia – in particolare nel Foggiano – ma anche in Basilicata e in Campania. Il numero è una stima (della CGIL), perché in grandissima parte questi lavoratori sfuggono a ogni ufficialità. E questo nonostante restino sul suolo italiano spesso da maggio a novembre, partendo con la raccolta delle fragole e terminando con quella delle olive; e nonostante siano loro a raccogliere gran parte dei 5,5 milioni di tonnellate di pomodori prodotti ogni anno in Italia.

mani pomodori

Lavorano rigorosamente in nero, faticando per lunghissime ore sotto il sole cocente del Sud; dormono perlopiù in veri propri ghetti, in casolari diroccati o direttamente sotto gli ulivi, spesso senz’acqua potabile, con paghe al di sotto di ogni standard. Una vera e propria schiavitù, un traffico di esseri umani gestito in blocco dalla criminalità organizzata, che si premura anche di prelevare gli immigrati all’ingresso sul suolo italiano e di “spostarli” a seconda della convenienza dei datori di lavoro. Oltre che nella raccolta, comunque, lo sfruttamento di massa degli immigrati è presente anche nella fase della trasformazione, con i lavoratori spesso ospitati all’interno degli stabilimenti. Sono perlopiù africani, provenienti da paesi travagliati dalla guerra e dalla povertà come Nigeria e Burkina Faso, Somalia e Sierra Leone, ma non mancano i cittadini di paesi dell’Est come Polonia, Bulgaria e Romania.

Una situazione di illegalità e di sfruttamento di massa, che sembra non colpire l’opinione pubblica italiana: solo i sindacati e poche organizzazioni umanitarie si occupano – in condizioni difficoltose e non prive di pericoli – delle condizioni di vita dei lavoratori stagionali “invisibili”.

Ma non tutti sono rimasti indifferenti. In particolare, il fatto che la produzione del pur pregiato pomodoro italiano presenti situazioni gravemente contrarie all’etica, oltre che alla legge vigente, pare avere destato profonda impressione tra i consumatori della Norvegia. Che hanno boicottato in massa l’acquisto, fino a far crollare le vendite del pomodoro italiano in quel paese.

Il sindacato norvegese ha recentemente contattato la Uila (Unione italiana lavoratori agroalimentari), che si è attivata presso le aziende associate a Federalimentare. La soluzione proposta è la creazione di un vero e proprio “marchio di qualita’ etica”, che possa certificare e distinguere il pomodoro prodotto nel rispetto delle leggi e dei contratti lungo tutta la filiera da quello che non può dare le medesime garanzie. In modo che i consumatori “eticamente esigenti” possano orientare le loro scelte, senza rinunciare né al pomodoro italiano né alla certezza di evitare di sostenere imprese dal comportamento quantomeno discutibile.

Nell’attesa che questo marchio venga effettivamente creato, noi che siamo in Italia che cosa possiamo fare per avere sulla nostra tavola solo pomodori “puliti”? Una via è sicuramente privilegiare il consumo di prodotti locali, magari “a chilometro zero”, in particolare se abbiamo la possibilità di un rapporto diretto con il produttore, o partecipando a gruppi di acquisto solidale. Tra i tanti contatti da tenere come riferimento nel nostro territorio ricordiamo il GasBaz (http://gasbaz.wordpress.com/) e la cooperativa Arvaia (www.arvaia.it).

pomodori campo

28 ottobre 2013 at 7:39 PM 1 commento

Cosa deve ancora accadere?

Ieri, 3 ottobre 2013, l’ennesimo barcone carico di vite stava per approdare a Lampedusa. In cerca di accoglienza, in cerca di un futuro. Ieri, 3 ottobre 2013, l’ennesimo barcone non è arrivato a destinazione. 111 vite stroncate, moltissime disperse.

Di fronte a questa enorme tragedia, Solidarietà Impegno pubblica il comunicato di Altromercato e chiede con fermezza la revisione delle leggi sull’immigrazione e di “non limitare ad un giorno lo sdegno per tragedie come quella di Lampedusa, ma impegnarsi tutti per un sistema economico più equo”, come afferma Guido Leoni, presidente di Altromercato.

(da www.altromercato.it)
Verona, 4 ottobre 2013 – La tragedia di Lampedusa non può lasciare indifferente una realtà come Altromercato – la maggiore organizzazione di commercio equo e solidale in Italia – che da sempre collabora con migliaia di artigiani e contadini sparsi in 50 paesi del Mondo. Oggi più che mai il pensiero va a tutte le persone che si vedono costrette ad abbandonare il loro paese di origine per sfuggire alle guerre e alla miseria.
La società civile e le Istituzioni non possono rimanere silenti davanti alle tragedie che si stanno susseguendo nei nostri mari. Queste stragi sono la conseguenza diretta di un sistema economico che genera povertà e ingiustizia. Non è un caso, non è un incidente e il nostro movimento lo dice da anni insieme a tante altre organizzazioni della società civile.
Altromercato chiede fortemente alle Istituzioni che vengano intraprese azioni concrete per adeguare il quadro normativo sulle immigrazioni in modo da permettere alle persone di pensare al proprio futuro in condizioni di sicurezza e sentendosi accolte.
Altromercato chiede fortemente ai cittadini e ai consumatori di far sentire la propria voce, di non restare indifferenti di fronte a questa ennesima strage annunciata, di far valere il potere di ognuno di noi di cambiare le cose.
“Non limitiamo ad un giorno il nostro sdegno e la nostra commozione” – ha concluso Guido Leoni, presidente di Altromercato – “Ogni giorno ciascuno di noi può fare la differenza perché queste cose non accadano, per combattere la povertà, per dire no alle guerre dimenticate, per favorire l’accoglienza di chi è costretto a emigrare”.

5 ottobre 2013 at 12:09 am 1 commento

Peace Walking Man – Il marciatore della pace

John Mpaliza, ingegnere informatico di 42 anni, originario della Repubblica democratica del Congo, ex Zaire, vive in Italia già da 18 anni.

nazioni unite mpaliza

Nel 2012 ha iniziato un’impresa mirata a “rompere il muro di silenzio che è stato creato ad arte attorno alla Rdc”: una marcia durata due mesi che lo ha portato da Reggio Emilia (29 luglio 2012) a Bruxelles (22 settembre 2012). In tutto 1600 km, circa 40 al giorno, attraversando Francia, Svizzera, Germania, Lussemburgo, Paesi bassi e infine Belgio, accompagnato dalla bandiera della Pace e da quella della Rep. dem. Congo, oltre che da chiunque ha voluto percorrere un pezzo di strada con lui.

Durante i mesi della marcia ha potuto rivolgersi a Ginvera all’Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati) discutendo della problematica dei profughi nella zona est della Rdc. Una volta giunto a Bruxelles, tra l’altro l’arrivo è stato proprio nel quartiere africano della capitale belga, John Mpaliza ha partecipato a un incontro al Parlamento europeo con l’intento di richiedere alla comunità internazionale un resoconto sull’embargo delle armi, sulla gestione delle risorse minerarie e sulll’impunità dei responsabili dei crimini di guerra.

ultimi km

Ma questa volontà di manifestare, da cosa è scaturita?

Nel 2009 John ritorna nel suo paese d’origine dopo aver trascorso 10 anni in Italia, e assiste al depredamento del popolo e delle risorse della Repubblica democratica del Congo per mano dei paesi vicini: dallo stupro utilizzato come strumento di guerra alla devastazione dei villaggi e del territorio. “Un proprio giardino dove andare a raccogliere ogni ben di Dio” (coltan, diamanti, oro, zinco ecc.) così riassume Mpaliza la visione della Rdc agli occhi dei paesi confinanti. Una guerra non tra etnie come potrebbe apparire, bensì di carattere economico Una guerra senza fine che ha causato più di 7 milioni morti. E al di fuori di quei confini non trapela nulla o quasi. Questa come molte altre è una “guerra dimenticata”.

Perché riparlare ora di questa “operazione di pace” sui generis?

Perché John Mpaliza sta per intraprendere una nuova marcia sul territorio di Reggio Emilia: Congo Week – Reggio Emilia – Breaking the silence, così si chiama la manifestazione che durerà una settimana, dal 19 al 26 ottobre. Una marcia per la pace di 7 giorni sul territorio reggiano con incontri nelle scuole e numerosi eventi durante tutta la settimana. Chi vuole può prendere parte alla marcia e accompagnare John, anche solo per qualche km.

La spinta per fare tutti questi km da dove la si prende?

Dall’ubuntu – non la bibita… ma se volete anche! –: un principio cardine delle filosofia africana che esorta a prendere coscienza non solo dei propri diritti, ma dei propri doveri nei confronti degli altri e dell’umanità intera, aiutandosi e sostenendosi reciprocamente.

Per avere maggiori informazioni sul programma della Congo Week: https://www.facebook.com/kongoweek

Se volete seguire le imprese e gli incontri di John Mpaliza: https://www.facebook.com/john.mpaliza

Alcuni video e documentari delle marce di John Mpaliza: http://www.youtube.com/watch?v=3FsRkAeniMc; http://www.youtube.com/watch?v=RbtvnLfN-xo o cercate John Mpaliza su Youtube

4 ottobre 2013 at 11:23 PM 1 commento

L’agricoltura contadina, comunque

Immaginate due catene contrapposte.

Da una parte, l’agricoltura “contadina”, i cui prodotti sono coltivati in modo sostenibile, spesso biologico, con una grande attenzione all’ambiente e ai lavoratori, sono distribuiti in mercati di “prossimità” e il loro surplus viene spesso trasformato. La filiera è breve: dal produttore all’utilizzatore, senza intermediari. Questo tipo di agricoltura mette al centro le relazioni sociali, la fiducia, la comunità.

L’altra catena (la cosiddetta “agricoltura industriale”) si basa sulla relazione tra GDO (Grande Distribuzione Organizzata, i supermercati per intenderci) e contadino, il cui perno è il prezzo più basso possibile. Se il prezzo è basso, il profitto della impresa agricola deriva dalla maggiore quantità di prodotto a costi minimizzati e ha come unico sbocco il “mercato”, l’entità che può assorbire le grandi rese. Con due conseguenze: si abbandonano le tecniche (la rotazione), le varietà, i campi (quelli montani), le forme di impresa piccole, il tutto a favore di fertilizzanti, grandi estensioni, campi in pianura, spesso lavoro nero e sementi sempre uguali, dal Sahara al Polo Nord. La creazione di un sistema di produzione di massa è basata sullo spreco della maggior parte delle risorse: parte del raccolto (risorse, lavoro ed acqua) rimane nel campo, parte si perde durante il viaggio, parte nelle celle frigo, parte nella GDO, parte nelle nostre case.

Questa grande dicotomia è emersa chiaramente nelle relazioni dei tre protagonisti dell’incontro/dibattito organizzato venerdì 28 giugno, presso la Rocca dei Bentivoglio a Bazzano, da Solidarietà Impegno e la condotta Slow Food Samoggia e Lavino, dal titolo “L’agricoltura contadina, comunque”. (altro…)

2 luglio 2013 at 12:48 am 2 commenti

Sri Lanka: appunti di viaggio alla scoperta del commercio equo

Abbiamo già avuto modo di parlare del Turismo Responsabile, attraverso un viaggio fatto da due dei nostri volontari in Perù (leggi qui).  Ma non siamo ancora soddisfatti, perchè questo argomento merita davvero di essere approfondito e ampiamente raccontato, soprattutto quando un viaggio responsabile porta nientemeno che alla scoperta di progetti di commercio equo e solidale!

Per questo, abbiamo chiesto a Benedetta, un’altra nostra volontaria (che collabora anche con la bottega del mondo di Savignano sul Rubicone), di raccontarci l’esperienza che dal 29 gennaio al 12 febbraio di quest’anno ha fatto in Sri Lanka, con un viaggio organizzato dalla bottega equa di Formigine (MO), Vagamondi (www.vagamondi.net).  Prima di lasciare spazio alle sue note, riportiamo dal sito di Vagamondi alcune informazioni sul viaggio nella vecchia isola di Ceylon. (altro…)

20 giugno 2013 at 6:01 PM 1 commento

SI nelle scuole: l’avventura continua…

Si è conclusa da poco l’avventura di Solidarietà Impegno nelle scuole elementari di Bazzano per questo anno scolastico. Ed è stata davvero un’avventura fantastica!! Talmente entusiasmante che… ci riproveremo anche l’anno prossimo, magari anche in altre scuole come quelle di Crespellano e Monteveglio!

peters_mercatoreLe classi che quest’anno hanno partecipato ai nostri laboratori didattici sul commercio equo e solidale sono state quattro: tre quarte (A, B e C) ed una quinta (D), per un totale di ben 87 bambini. Gli insegnanti coinvolti sono stati 5, e tutti si sono rivelati entusiasti del nostro lavoro con i ragazzi, i quali hanno dimostrato sempre grande interesse e partecipazione.

Gli interventi di Mercatore e Peters, il gioco che riproduceva la filiera agro-alimentare nell’economia globale, la costruzione del decalogo delle azioni “equo solidali”, hanno certamente lasciato nel cuore di studenti, insegnanti ed educatori un’impronta forte, che, speriamo, li accompagnerà nelle scelte quotidiane. (altro…)

7 giugno 2013 at 10:57 am Lascia un commento

Emilia terremotata e solidale: un anno dopo

E’ trascorso esattamente un anno dai tragici eventi del 20/29 maggio scorso, quando una prima scossa di magniudo 5.9 (scala Richter) e una seconda di 5.8 hanno colpitoalcune regioni del NordItalia e, in particolare l’Emilia Romagna, nei territori della provincia di Modena, Ferrara e Bologna.DSCN4370
Gli effetti più disastrosi si sono verificati lungo i territori di Novi di Modena, Rovereto sul Secchia, Mirandola, Cavezzo e, in particolare, i danni maggiori si sono verificati non solo sulle strutture, ma anche sulle relazioni umane. (altro…)

29 Maggio 2013 at 4:56 PM 2 commenti

Quante vite vale una maglietta?

Bangladesh Building Collapse

Il 26 aprile, a Dacca, in Bangladesh, una palazzina di 8 piani si è completamente sbriciolata, seppellendo sotto le sue macerie oltre 380 persone. Le vittime di questa tragedia erano operai che lavoravano per diverse aziende tessili internazionali (tra cui probabilmente alcune italiane, leggete qui). Come spesso accade, queste multinazionali usufruiscono di aziende locali che le riforniscono di abiti e accessori a costi bassissimi, confezionati da operai e operaie sottopagati (si stimano circa 410 dollari l’anno ad operaio) e sfruttati. Chiaramente, per poter proporre prezzi così infimi, la sicurezza dei lavoratori e degli stabilimenti diventa un optional, provocando tragedie come quella accaduta a Dacca. Secondo una stima dell’International Labor Rights Forum, oltre mille operai tessili hanno perso la vita in Bangladesh dal 2005 in incidenti causati dalle scarse condizioni di sicurezza dei laboratori.

Ma vale davvero la pena mettere a rischio centinaia di vite per una maglietta?

Il Commercio Equo e Solidale pensa proprio di NO. Ed è per questo che sono nati tantissimi progetti che riguardano il settore tessile, ed in particolare l’abbigliamento, che rispettano i principi del CES. Vi proponiamo qui di seguito due importanti esempi a livello italiano.

top_pagina_trame (altro…)

30 aprile 2013 at 1:37 PM 3 commenti

L’agricoltura che vogliamo: l’esempio di Arvaia a Bologna

Tutto nasce da un concetto molto semplice, che quasi dovrebbe essere scontato: quello di sovranità alimentare. A Nyeleni, in Mali, nel 2007 si è affermato con forza che “la sovranità alimentare è il diritto delle popolazioni ad un cibo sano e culturalmente appropriato, prodotto attraverso metodi ecologici e sostenibili. È anche il diritto a scegliere la propria alimentazione e i propri modelli di agricoltura” (www.nyeleni.org).
Diritto non solo al cibo, ma ad un cibo sano, che sia in linea con la cultura locale, che rispetti l’ambiente e le persone che lo mangiano e che lo producono. Queste affermazioni, che sono anche la base del commercio equo e solidale, convergono in una realtà che sta nascendo a Bologna: la cooperativa Arvaia (www.arvaia.it). (altro…)

19 aprile 2013 at 11:43 am 1 commento

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Chi Siamo

Siamo un'associazione che si impegna per un mondo più equo, un consumo consapevole e un'economia sostenibile. Lo facciamo attraverso la promozione del commercio equo e solidale, organizzando convegni ed eventi, e partecipando a campagne di sensibilizzazione sulle varie tematiche della sostenibilità.